A gennaio, Bankitalia prevedeva, per il nostro Paese, una crescita del PIL pari allo 0,6%. Stima molto prudente, dovuta ad un livello di inflazione più elevato rispetto alle maggiori economie del Paese. A distanza di neanche 6 mesi, la situazione, per quanto rimanga ancora ben oltre il “livello di guardia” (come dimostra il rialzo, la settimana scorsa, dei tassi europei di un altro 0,25%), la nostra Banca Centrale ha innalzato le previsioni, più che raddoppiandole, portandole al + 1,3%. Avvertendo, però, che per il biennio 24-25 le cose saranno un po’ più complicate, riducendo la crescita rispettivamente ad un + 1% e ad un +1,1% verso quanto indicato dal Governo nel DEF (+ 1,5% e + 1,3%).
La diminuzione è data da 2 fattori, uno legato alle dinamiche UE, il secondo a questioni più “domestiche”.
A livello UE, il rigore monetario in atto sembra provocare il rallentamento della crescita, come la recessione “tecnica” (per il momento) della Germania sembra confermare, provocando una consistente riduzione dell’export, da sempre una componente fondamentale per il nostro PIL. Guardando ai dati di aprile, si nota una diminuzione di oltre il 5,4% rispetto all’anno precedente, che coinvolge non solo il Paese tedesco ma un po’ tutte le economie europee (verso la Gran Bretagna, per es, arriva a segnare un ben più preoccupante – 13,7%). Dati che sarebbero ancora più negativi se si guardasse unicamente alle vendite e non al loro controvalore monetario, il cui effetto è mitigato dai maggiori prezzi dovuti all’inflazione.
Situazione non meno difficile per quanto riguarda gli aspetti domestici. Il timore, in questo caso, è dovuto alle peggiorate condizioni del credito, aspetto che potrebbe pesare non poco sugli investimenti da parte delle imprese oltre che sui consumi da parte delle famiglie.
Ecco, quindi, spiegato il gran “fermento” attorno al PNRR.
Ormai non è un segreto, per quanto da più parti si cerchi di “sdrammatizzare”, che il nostro Paese si trovi in un “impasse”, con la 3° (quella di dicembre 22) e la 4° rata (in scadenza alla fine di questo mese) per il momento “congelate”. Si tratta di almeno € 35 MD (19 + 16) che dire “ci farebbero” comodo è di un’ovvietà disarmante. Eppure stiamo cercando un accordo con l’Europa per venirne a capo e “salvare la faccia”. Perché oramai di questo si tratta. Si calcola che il piano di riforme e investimenti pubblici avrebbe un impatto sulla nostra crescita paria ad almeno 2,5 punti percentuali di PIL entro il 2024. Che diventerebbero 3,5% entro il 2026 ricomprendendo gli investimenti privati.
Ancora una volta siamo gli “osservati speciali” in Europa. Nonostante siamo il Paese maggior beneficiario degli aiuti del piano Next Generation EU, declinato poi nei vari PNRR nazionali (nel nostro caso circa € 200 MD), sembra che la questione sia diventata meramente politica e riguardi i rapporti tra il nostro Governo e la Commissione Europea (un po’ come sta avvenendo con il tanto “detestato” MES) e non, invece, la vita, in tutti i suoi aspetti (economia, modernizzazione, riforme) del nostro Paese. Come giustamente ha scritto Francesco Giavazzi, già consigliere economico di Draghi, in un articolo sul Corriere di ieri, abbiamo ricevuto un’apertura di credito eccezionale: il non riuscire a realizzare il piano, o dichiarare di non essere più interessati, avrebbe delle conseguenze gravissime sulla nostra “reputazione”, portando l’Europa a prendere ancor più le distanze e alzando muri che ci condannerebbero ad un isolamento politico prima ancora che economico da cui sarebbe difficile riemergere. Ancor più in un momento in cui, oltre alla mai accantonata discussione sul MES, è di grande attualità quella sul Patto di Stabilità, che dall’anno prossima tornerà in vigore dopo la “sospensione” post pandemia. Anche questo argomento quanto mai spinoso, che vede, tanto per cambiare, contrapposti gli schieramenti di chi vorrebbe un ritorno “blando”, con una percentuale di rientro dal debito dello 0,5% all’anno (noi, ovviamente, siamo tra i capofila, insieme alla Francia, in considerazione dell’imponente debito pubblico, che ci condanna ad un pesantissimo 140% del rapporto debito-PIL) a chi, invece, propende per un 1% annuo (con la Germania “main sponsor”).
In una giornata “orfana” di Wall Street, oggi chiusa per festività, i mercati asiatici iniziano la settimana all’insegna della debolezza.
Dopo la corsa delle ultime settimane, si prende una pausa il Nikkei di Tokyo, in calo dell’1% circa.
Sorte analoga per l’Hang Seng a Hong Kong (- 1,18%), mentre meglio impostato sembra il mercato cinese, con Shanghai che lima le perdite allo 0,5%, forse sostenuto dall’incontro tra Anthony Blinken, capo della diplomazia americana, e i vertici del Governo cinese.
Futures ovunque poco mossi, compresi quelli USA, che continuano ad essere trattati nonostante la chiusura newyorkese.
Nuovo calo per il petrolio, con il WTI a $ 71,26 (- 1,03%).
Gas naturale a $ 2,590 (- 1,90%).
Oro a $ 1.968 (- 0,25%).
Spread che riparte da 155,4 bp, livello più basso dall’aprile 22, quando ancora doveva cominciare il rigore della BCE.
Rendimento del BTP al 4,03%, con il bund tedesco al 2,47%.
Treasury sugli stessi livelli di venerdì (3,76%).
€/$ a 1,093.
Segnali di ripresa per le criptovalute, con il bitcoin a $ 26.437.
Ps: dunque Ancelotti conferma di essere lui il “vero re”. Si da, infatti, oramai per certo che dal 1° luglio 2024 allenerà il Brasile. L’annuncio ufficiale dovrebbe essere dato entro questo mese, anche se non si esclude che possa iniziare, con un incarico “ad interim” (continuando, cioè, ad allenare il Real Madrid) già dal 1° gennaio. L’obiettivo dichiarato è riconquistare una coppa del mondo che manca oramai dal 2002. La prossima edizione sarà nel 2026: 24 anni sono troppi per chi ha sempre dato del “tu” al pallone…